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RINGRAZIAMENTO A UNA BALLATA DI P. FORT 205

distanza di qui; e il vento correva sui lastroni della piazza ancor vuota, levando fra le rughe del sasso bigio e scoperto l’arida polvere che precede la pioggia.

Mi sono alzato, son partito, e alla fine sono venuto; l’uggia del sonno perso e lo squallore del mattino brutto mi hanno sempre accompagnato. mentre i chilometri della ferrovia succedevano ai chilometri, e si sentiva la strada fuggire attraverso il monotono cigolìo del vagone, come mia rigatura infinita di fremiti e tremiti scorrenti sull’immobile fondo.

Delle ore trascorse col viso inchiodato al finestrino e lo sguardo sulla campagna, m’è rimasta solo l’impressione del telaio duro a cui s’appoggiava la fronte; e il peso sordo del tempo, peso senza ricordo, monotono e immobile peso del capo nè dormente nè sveglio; sussultante allo scossone delle fermate e sporgentesi allo sportello, con vano desiderio, verso la musica fina della primavera velata di pioggia. Quante cose da fare; e che rammarico vago delle ultime corolle dei ciliegi, biancheggianti fra un sospetto di ruggine e lacrimanti così candide e lievi sull’acquitrino azzurro dei grani; isolette dei peschi di un rosa gonfio e tenero sul cielo livido, e cascate schiumanti di biancospino amarognolo: ultime querce brulle e tutto il resto delle cose, che avrei dovuto cercare e guardare e seguire nel loro dialogo con la luce fresca: e non vedrò più forse, non farò più in tempo a guardare.

Scorreva il mondo sulle pupille intente quasi per obbligo, e il pensiero si profondava nella sua finzione.

Una e un’altra, e un’altra, e le tre sono solo una: non son più nulla, se le mie ciglia battono. E