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204 | SCRITTI DI RENATO SERRA |
cosa: tutto è grigio: ribrezzo buio che soffia dal cielo stretto sopra il terriccio di queste aiuole nude, desolate attraverso le cornici di filo metallico, con le punte a triangolo che stillano pure acqua. L’erba è rara e scura come d’inverno; le foglioline nuove, tutte immollate e stinte, sembrano ritagli di carta verdiccia che il vento abbia appiccicato ai rami lisci come tubi, neri e grondanti.
Mi fermo per abitudine, quasi a cercar qualche cosa, prima d’entrare; qualche cosa ch’io possa portarmi dentro, fra le mura chiuse. Dov’è l’argento d’aprile e l’odore delle cose vegetanti e brillanti sotto la frusta dell’acqua vivace?
Ho d’intorno il rumore interminabile della pioggia e il gocciolar della fronda e lo scivolar delle nubi: gonfie e violette laggiù come il buzzo che sta per crepare; biancastre e molli e stracciate per tutto il cielo come se dovessero colare e gravare in eterno. E poi un sentore aspro della fanghiglia rimossa dalle scarpe, che tocca quasi le dita intirizzite; il gelo che si rapprende ai capelli corti sulla nuca, l’umido che sale pungente per le narici e prende il gusto dolciastro del raffreddore. Cose disperse che non riesco a raccogliere: pezzi di un mondo staccato da me.
Quel che mi resta è soltanto il caldo cattivo delle guance che si tuffano e non si rinfrescano nell’aria ghiaccia, il ronzio lontano del sangue e il bruciore pesante delle palpebre che sento spiccarsi dagli occhi stanchi, da troppo tempo aperti sull’universo non mio.
È già tanto che dura questo giorno. Mi pare che ore e ore lunghissime mi dividano dalla prima alba che mi svegliò, improvvisa e squallida, attraverso i vetri di una camera d’albergo, a tanta