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200 scritti di renato serra»

sun desiderio di distruzione: e tutti i particolari delle enumerazioni descrittive, rigide e inevitabili come le ore delle notti senza sonno (ricordate la deglutizione: «i pomelli delle gote gli salirono..., gli angoli della bocca e le tempie gli si empirono, la pelle.... gli si arricciò, il mento gli si torse, i lineamenti della faccia ebbero una.... comune mimica....» e una specie di brivido visibile gli corse....) mi lasciano oramai quieto e senza timore.

Una curiosità molto benevola mi muove a considerare qualche periodetto, che intorno all’origine di certe strofe e pagine e gloriosi lirismi del vate futuro dice più che un lungo discorso. (Per esempio, «Il beffato.... agitava le braccia». Questo punto in una stampa intelligente dovrebbe esser grosso come una avellana. «Al frastuono i vetri della finestra tremavano». Idem. «I fuochi dell’occaso percotevano i tre diversi volti umani». E qui bisogna triplicare il punto e andare a capo).

La stessa curiosità m’invita a trascrivere l’ultimo pezzo, senza nessuna pretesa di rivelazione: «I due avanzarono in silenzio, tendendo l’orecchio, soffermandosi ad ora ad ora; e tutte le virtù venatorie e le agilità di Matteo Puriello in quell’occorrenza si esercitavano».

Ho voluto prendere il luogo in cui forse la retorica forse è più badiale, per esser certo della serenità del mio cuore.

Essa è indifferente e quasi benigna.

Quando D’Annunzio ha cessato d’irritarci come un mistero non c’è nessuna ragione più per volergli male di ansie e di inquietudini che nascevano solo dalla nostra intelligenza scarsa.

Egli non ne aveva colpa se noi prendevamo per un dio impassibile quello che era piuttosto uno scolaro pieno di bravura, e se poi ci guastavamo il