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«la fattura» 199

Credo che questa sia la disposizione più sana per legger la Fattura, e in genere ogni cosa del D’Annunzio.

Davanti al quale tutti i movimenti umani debbono essere spenti. Dove è ora la prima lettura, piena di inquietudini e di dissidio?

L’ammirazione e la gioia di tante immagini e musiche vaghe combatteva con un invincibile tedio. Non sapevamo darci pace che uno scrittore così felice dovesse essere insieme pieno di tante miserie. Ora tutto questo è lontano da noi.

Non staremo più a tormentarci se quelle frasi brevi e perfette nascano dalla serenità o piuttosto dalla vanità dell’animo: e neanche correremo con gioia stizzosa a sottolineare tutte le superfluità ornamentali e la miseria l’enfasi di certi punti, ai quali pareva affidato il segreto della nostra noia; che subito dopo poi stupiva e si cambiava in godimento non meno singolare.

Ripenso a tante parti che non hanno trovato posto in questa ricapitolazione del mio interno dibattere. Trovo solennità straordinarie («Mai, negli altri anni più meravigliosa mole di carni egli aveva veduto; e si rammaricava in cuor suo che la moglie non ivi fosse...»), di atteggiamento oratorio, e non mi passa neanche pel capo di chieder loro un significato qualunque; trovo dei fioretti di lingua, ingenui come la prima citazione di uno scolaro («Assaù.... recava le caraffe arrubinate»), e quasi mi fanno piacere. Trovo una serie presso che infinita di frasi esornative e di aggettivi non meno pittoreschi che infingardi, senza sentire nes-