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198 | scritti di renato serra» |
mes»; ma tutto ciò si diffonde e si disperde nella sonorità del periodo.
«E tutti quelli uomini rusticani, aspettando di bere, motteggiavano, tranquilli, sulle loro gambe in arco difformate dalle rudi fatiche: alcuni con volti rugosi e rossastri come vecchi pomi; con occhi resi miti dalla lunga pazienza o resi miti dalla lunga malizia; altri con barbe nascenti, con attitudini di gioventù, con nelle vesti rinnovate una manifesta cura d’amore».
Certo chi voglia paragonare il valore che gli stessi tratti hanno qui con quel che avevano nella Ficelle prova nella mente un abbattimento doloroso: così dopo avere fissato il viso a lungo nel reticolato fitto della griglia, se tu lo vuoi staccare d’un colpo e intendere attraverso quella agli oggetti lontani, ti senti dolere le pupille e i nervi degli occhi vibrare come corde pizzicate in falso. Ma la colpa allora è nostra.
Del D’Annunzio non si può imputare a colpa neanche il gesto che egli ripete troppo spesso per uso, di dare quasi alle sue descrizioni il valore di una scoperta solenne. Anche quello appartiene più alla parola che all’animo, e ne nascono talora effetti belli.
«In lontananza le barche di Barletta cariche di sale scintillavano come edifizi di preziosi cristalli; e da Montecorno un serenissimo albore stendevasi nella rapidità delle aure, ripercotevasi dalla limpidità delle acque».
Non importa dire che questa simmetria è retorica e che le sue figure sono generiche: le linee ognuna per sè artificiosa compongono un disegno puro, che il nostro animo comprende con una dilettazione molto lieve.