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«la fattura» 195

vendo pezzo per pezzo senza passione, accade che ogni parte e quasi ogni parola si giaccia contenta di sè.

Noi ce ne accorgiamo alla ripresa.

«Ora, possedeva egli su la destra riva del fiume, un podere con una casa rurale....». Chè qui tutto è vano, l’inversione e l’enfasi e le pause e le cadenze, le quali si ripetono come al voltare di un organetto, per molto spazio di noia. Ed ecco una reminiscenza boccaccesca si sviluppa tronfia, attraverso le ghirlande dattiliche.

«In ogni gennaio La Bravetta andava insieme con la moglie al podere, trattenendovisi col favore di Sant’Antonio, per assistere all’occisione e alla sala|tura del | porco.

«Avvenne una volta che, essendo la moglie alquanto inferma, La Bravetta andò solo ad invigi|lare il su|pplicio.

«Sopra una | tàvola | ampia....».

Ah schiavitù delle forme solenni e dei nobili ritmi, quanto è misero il tuo trionfo!

Adesso intendo la ragione per cui l’eccellente scolaro potrà moltiplicare a sua posta le occisioni, e gli alquanto, e i supplici, ma non riuscirà mai a illudermi. Egli non fa altro che un componimento; tutte le sue virtù alla fine si riducono a uso di parole. La vivacità del Boccaccio che egli si credeva di precisare e arricchire resta mortificata in questi stampi oziosi.

«Erano costoro gente di gaia vita, ricchi di consiglio, dediti alla crapula, vaghi di ogni sollazzo; e poichè avean saputo l’uccisione del porco e l’assenza di Donna Pelagia, sperando in una qualche bella avventura venivano a tentar La Bravetta».

Ognuno avverte il punto in cui il trascrittore