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«la fattura» 189

usanza sempre colà di Dicembre d’andarsene la moglie, et egli in villa, et ucciderlo, e quivi farlo salare. Ora avvenne una volta tra l’altre....».

Qui è inutile chiosare. Avete voglia a parlare di chiarezza e di economia e armonia e agevolezza.... Non c’è da far altro, credo, che di rileggere, e considerare sillaba per sillaba quello che egli voleva dire e quello che ha detto. Viene in mente Montaigne quando parlava di certi pezzi classici trasportati dentro scritture moderne, che sorgono all’improvviso come un monte in mezzo al basso parlar paludoso. Ora se uno, dopo salito il monte, non s’accorge di essere in alto e di respirar meglio, peggio per lui; il medico non ci ha più che fare.

Oppure veniamo al momento più rilevante della novella, quando Calandrino subisce l’inganno delle galle medicate.

Il Boccaccio pare che racconti sorridendo; poichè il fatto è semplice; al buon uomo la seconda galla pareva più amara che mai, e tuttavia la doveva sostenere in bocca con ogni sforzo; finchè non potè più e la sputò fuori. Così era compiuta la beffa. Ma è lui che racconta.

Comincia adagio, con una voce grave, piena di aspettazione; l’amarezza è spiegata e moltiplicata dalla simmetria dell’antitesi, con un suono che sale a grado a grado e poi risiede solenne nel superlativo. «Calandrino, se la prima gli era paruta amara, questa gli parve amarissima». Riprende con uno scoppio di voce, che poi resta quasi sospesa un poco e si ferma seriamente: «ma pur vergognandosi di sputarla, alquanto masticandola, la tenne in bocca»; il buon dicitore ha trovato, insieme con la cosa, la parola essenziale; e quasi fiso in questo natural centro dell’azione,