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182 | scritti di renato serra |
dei moderni, che non sanno uguagliare la piena evidenza a primo tratto degli antichi, ecc. ecc.
Mi suonavano all’orecchio le parole e i sospiri del mio buon maestro quando leggeva di Calandrino appunto giù per lo Mugnone o di Ser Cepperello o di Chichibio, e si fermava in tronco mormorando: «Come è fatto! Vedete un po’ che disegno! e che precisione psicologica! come è vero!».... e poi crollava la testa, «Parlano di realismo oggi.... calcano il segno, aggravano il colore.... stemperano un tratto in cento ritocchi.... ah pover’uomo!» e sospirava ancora e con la mano si rialzava di su la fronte le ciocche scompigliate grigie, passeggiando e tentennando fra i banchi.
Più tardi poi ho inteso che quelle parole buone dovevano essere ricevute più discretamente, come espressione del sentire e della forma umana di un lettore; non come risultato della sua riflessione.
A voler chiarire i nostri dubbi non bisogna sospirare soltanto, ma pensarci su. Qual’è dunque, e come si può definire il valore letterario della Fattura, in confronto col suo modello?
Alcuni elementi di giudizio si offrono subito in grosso. Il D’Annunzio differisce dal Boccaccio profondamente in tutte le ragioni del suo scrivere; egli dipinge quelle, che paiono pure le stesse figure, con colori nuovi, e a ogni pennellata con un sentimento nuovo, più ricco.
Il Boccaccio racconta una beffa, e si gode della trovata ingegnosa e dei motti arguti; ma la sua cura non va molto più oltre. Il discorso è festevole e piacente e anche vivo, di sorrisi e di riflessioni morali assai sottili. Ma quelle persone di Calandrino e degli amici suoi come sono vacue e leggiere! «Chi Calandrino e Bruno e Buffalmacco