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180 | scritti di renato serra |
zetti trovati già nel vecchio Fanfulla, molto meglio che non alla immagine di tutte le tragedie e ditirambi degli ultimi tempi. Io li frequentavo poco allora, e li amavo anche meno.
Speravo qualche ora di lettura piacevole. Naturalmente restai ingannato.
Lasciamo stare oggi di questo effetto le ragioni. Ma che le scritture del D’Annunzio tutte, e massime in prosa, sogliano destare molta più ammirazione che piacere, ognuno può avere imparato dall’esperienza.
Aggiungete la famigliarità che uno possa avere col Maupassant e col Flaubert e col Verga, e in genere coi modelli della Pescara; aggiungete anche alla lettura il caldo di una estate bolognese.
Esso era vasto intorno, e pieno di lassitudine nella cameretta delle pareti bianche di calce, su cui le persiane socchiuse diffondevano l’ombra; un lieve senso di sudore o forse di frescura ammolliva le membra e lo spirito era vago.
Pochi libri possono reggere a questa prova dell’estate e dei lunghi silenzi, quando il letto rifatto e riposato pare che inviti e gli occhi si perdono dietro gli anelli tremuli del sole che danza sul pavimento; ma lo scalpicciare feltrato della padrona di casa per il corridoio fa pensare a fanciulle che vadano scalze sul sentiero e a lunghe sieste in campagna.
Così D’Annunzio mi cadeva giù dalla mente. Sopra un confuso flutto di parole senza significato sorgevano vivi Turlendana e Gialluca: il resto si perdeva nella sonnolenza meridiana.
E il dispetto della mia anima aggravava la stanchezza degli occhi. Poichè un uomo non può per la prima volta nella sua vita passare le lunghe e chiare mattine di maggio e le ardenti ore