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166 scritti di renato serra

faticoso, sì che più grata riesce, a tratti, la fatica felice:


                                                  l’indovina
tua voce mi chiedea s’alto, a i cristalli,
fiorian, languide stelle, gli occhi cari.

Sentite quel non so che di inciso, di cincischiato, la premura e quasi rancura di dire parte a parte la cosa che vorrebbe sfuggire? Quante virgole, a segnar quasi l’intarsio di queste tesserule poetiche, ma anche quanta vivezza, e forza nuova!

Questa è la grazia e il sapore dell’elocuzione, che notammo già in Severino; questa è la bontà di quei versi che ad ora ad ora gli sgorgano, con più sollevato e spazioso respiro:


Così spesso io sentii là sotto il Reno,
dove nacqui, cantare i potatori,
mentre il sole, calando, pe ’l sereno
e su ’l verde gettava aurei bagliori:
gli aliti della terra nel mio seno
ricevendo io fremeva insieme a’ fiori,
provavo la letizia che dal pieno
petto dilaga nel gran mugghio a i tori.

Dovrò io ripetere quei versi che ognuno ha quasi a memoria, quei versi in cui la figura di Severino è più compita e vicina a noi, e l’odore di giovinezza e la simpatia dell’uomo modesto buono semplice si fondono con la grazia e con la modestia del suo dire, tanto che non si sa quale in fine rimanga cosa più cara?


Mite è qua giù il novembre come da noi l’aprile,
e m’offrono i ragazzi il fior de le viole;
ma se ne l’aria un palpito trema primaverile,
ma se lucente e biondo sorge e riscalda il sole,
là su, di là da i monti, alta la neve scende:
al fuoco la salsiccia odora e il vino splende.