Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/208


severino ferrari 161

di desideri, di parole non dette, di sforzi non compiuti, di difetti non colmati: i vestigi si perdono nel rimpianto e nella lode, o si intravedono appena come un riflesso negli occhi affettuosi dei circostanti.

Felice La Boétie che trovava Montaigne per assicurare ai venuti dopo la forma della sua anima grande.

Così si incontra Severino in quella stagione della nostra storia letteraria che prende il nome dal Carducci. Egli dura accanto al poeta come l’ombra presso il corpo; che non può stare senza questo e non si può capire. Felice almeno in ciò, che la sua forma tenue è stata investita e quasi compiuta da quel sole. Il quale, dopo averla celata, vale oggi a restituirla.

Il Carducci ci invita a cercare Severino, come uno specchio di sè, più vicino e più domestico.

Io penso agli anni fra il ’70 e l’’80, quando il Carducci affermava la potenza della sua poesia sull’Italia, dalle Rime Nuove alle Odi Barbare. Penso a quel non so che di raggiante che pareva partirsi da lui e muovere i cuori dintorno: divinum vertice odorem Spiravere comae.

Egli era allora per i giovani, che lo guardavano, una idealità realizzata, la poesia fatta persona; una idealità che aveva potere di informare di sè gli animi, di insegnare a scrivere e fino a un certo segno anche a vivere.

Mi è accaduto altra volta1 di dire qualche cosa intorno a questo principio carducciano, che ha dominato la letteratura e la moralità di quasi tutta una generazione; e dissi anche che l’esem-

  1. Parlando del Panzini, sulla Romagna, nel maggio-giugno del 1910.