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160 | scritti di renato serra |
che parte mi chieda se c’era bisogno di usare tanta asprezza di giudizi sommari sopra questi poveri versi, che già non hanno fatto male nè invidiato nulla mai a nessuno, nè gloria, nè fortuna, nè oramai un poco di sole; e almeno mi dovrebbero esser sacri, come fiori secchi della giovinezza.
Penso un poco, su questo; e poi non mi dispiace più di avere fatto tanto. I limiti segnati voglio che dall’una parte dimostrino il fine e il difetto; ma dall’altra circoscrivono quasi il terreno proprio, dove Severino è in casa sua e non teme insulti. La sua bontà non è schiettamente poetica; ma essa è morale, e anche letteraria. L’affezione ch’io gli porto non resta senza ragione.
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S’incontrano nella storia figure che sembrano vivere fra gli uomini e gli avvenimenti come la chiosa sul margine del libro. Ogni età ne possiede: figure velate e abbozzate appena, incompiute e sorgenti in una ombra vaga.
Se cercate di fermarne i contorni, durate fatica a trovarli. Che cosa hanno fatto, che cosa hanno scritto, in quale opera hanno lasciato impronta più certa di sè? Non si sa. Si trova il nome, pronunziato con rispetto, con simpatia, con desiderio; da uomini che oggi noi ammiriamo per grandi; ma tutto ciò dura solo negli epistolari, nelle opere minori, negli angoli riposti della storia letteraria. Sono nomi senza corpo; la loro consistenza è rada e fuggitiva, fatta più che altro