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severino ferrari 157


Bisogna poi dire che questa felicità, da un altro punto di vista, è un difetto. Severino non è un poeta di canti; egli cerca delle parole, e le dice. Il suo linguaggio rivela a ogni passo l’impotenza della fantasia. Per pochi versi belli, quanti altri faticosi, incerti, vani: quanti aggettivi inutili, quante zeppe!

Caratteristici sono gli sciolti, dove la parola, perduta quella magia della rima, dovrebbe render lume di per se stessa; e resta buia, greve:

. . . . . . . . — Un giovin merlo,
un po’ tondo, un nidiace, a cui la barba
d’esperïenza era per anco in fieri....

. . . . . . . . . . . . un crai
getta da gotteragnola ben tronfia;


oppure, fuor degli sciolti:

Ritorna maggio ventilando l’ali
gonfie de l’aura, pinte di fioretti!

· · · · · · · · · ·
— o rose, o maggio, o cieli, un dolce senso

date a questa gentil, date d’amore.


e altri innumerevoli.

Anche le cose migliori, a leggerle freddamente, mostrano di queste falle; quartine strascicate, versi e rime senza significato, pezzi interi che non rendono più suono di una noce guasta. Ricordia-



    chè gli par d’essere un pieno
    di magnifiche giunchiglie
    che si muova, che bisbiglie....


    e non ho bisogno di notare l’insistenza della rima florida, che si rivela in una debolezza, alla fine, della coniugazione antiquata: un poeta vero non l’avrebbe tollerata.