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156 scritti di renato serra


cilità di parole care, schiette di suono, pulite di forma, anche se non abbiano per sè valore espressivo molto.

Con le mani bianche ti dà la mondiglia
poi getta un guardo su ne la vetrata:
è freddo, e mi domanda la mantiglia.

     — Andate a letto, padrona amorosa,
fra la bambagia sarete una rosa.

L’uomo che è giunto a verseggiare così, brilla in ogni sillaba in ogni accento in ogni rima di una allegrezza tutta sua.

Della quale il fiore è nel madrigale ben conosciuto:

Forse che dorme, raggiando, la luna
un suo bel sonno candido falcato
tra le mollezze del sen tuo gigliato?

Questa è la lingua poetica di Severino: incerta nel suo valore, poichè è tutta fatta, o quasi, di aggettivi e di ornamenti; ma sono adoperati così amorosamente! Non c’è mica nulla qui di veduto o sentito con forza: tutto riposa nella contentezza delle parole trovate e felicemente accoppiate, nel suono dolce delle sillabe (raggiando, mollezze, gigliato), nell’ascensione musicale di quelle vaghe forme sorgenti («un suo bel sonno candido falcato....»).1



  1. La memoria mi rappresenta in molti luoghi la stessa qualità.

    Deh non s’affondin quelle noderose
    branche fra i gigli del bel sen lattato!

    Oppure:

    S’alza e freme il molle seno,
    va pensando meraviglie,