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coscienza letteraria di renato serra xxi

non amò sacrificare lo «scioglimento diritto del problema estetico» alla «esattezza della rappresentazione». Se mai sembrò talvolta rimanere imprigionato nello scioglimento del problema estetico, inquieto ed esitante; che è il pericolo della razza fina cui apparteneva.

Dico la razza del «lettore», com’egli stesso diceva, del «lettore intendente», dall’«animo quieto», che «in sè è puro di movimenti mondani». Si gloriava di pronunziare queste parole pianissime, sommesse, a proposito di Borgese, anzi contro Borgese, contro il gridante Borgese. Che parrà poco a tanti, forse. Ma è che Serra voleva apposta opporre quel poco certo, al molto torbido e incerto dei critici problematici che facevano (e ancora fanno), delle loro formulette, sostegno a cattive letture. «Quando verrà un tempo in cui persone bennate parleranno ancora lietamente della lieta poesia, per alcun diletto loro e candidezza dell’animo?». «Lettore», «bennato», ecco ciò che gli piaceva dir di sè, e gli pareva che bastasse. Non che non riconoscesse e apprezzasse in altri le qualità che gli mancavano. In Croce, per esempio, egli ammirava «la passione intellettuale di comprendere e definire», ch’era, diceva, la sua «qualità prima», e che, sebbene avesse «per fine unico il vero», «nella schiettezza della sua operazione» riusciva «anche bella». Sentiva però anche che «infinite grazie» mancavano nei suoi saggi «verso la perfezione del gusto e della letteratura», sentiva che quell’uomo era nato «per portare anche davanti alla bellezza la sua curiosità intellettuale», e che in lui «la parte del gusto e dell’impressione ingenua» passava «in seconda linea», diventava quasi «materia» su cui si esercitava «il travaglio di chiarire e sciogliere