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non so che di umile e represso che vi si sente, e per la cura austera, inconsueta, dello scrivere. Ma quel che cerco anche nella prosa e nei commenti scolastici, così ben fatti, e negli studi dotti, non è ciò che vi comparisce in vista, l’erudito, e neanche il prosatore, che non è ivi ragione prima e fine a se stesso; altro cerco, un’ombra, una traccia, magari un contrasto o una dissonanza che mi rimandi ai versi.

I quali io leggo in due volumetti di ristampa recente, il Mago e Versi. Ma anche prima di possedere questi, Severino lo conoscevo già, in quel che più importa: un volume vecchio della Antologia m’aveva dato dei sonetti, un manuale di metrica certe ballatine e strambotti e madrigali; qualche altra cosa avevo raccolta dalla recensione del Carducci, del 1886, e certe quartine del Mago e gli alessandrini di Nostalgia li avevo presi non so di dove, dai giornali, dall’aria. Nei volumi non cerco altro che questi frammenti: ma in questi, poi, che cosa?

Ne rileggo uno che mi par caro sopra, gli altri; è anche il primo, se non sbaglio, ch’io m’abbia mai conosciuto:

Or voi, bei metri, a cui diè la freschezza
il popolo d’Italia a’ suoi bei giorni,
diede il Petrarca l’aurea politezza
e il Poliziano i nuovi modi adorni:

ite, bei metri, co ’l mio cuor cantando
per l’Italia d’amore e cortesia,
mentr’io con gobbe spalle vo sfregiando
ne la scuola gli error d’ortografia.

Ebbene, io sento qui molte cose care e sommamente pregevoli; sopra tutto il testimonio dell’uomo, con la sua buona forma e buon giudi-