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144 | scritti di renato serra |
espressione poco profonda, contenta di toccare quei punti quasi generici del rumor di ghiaccio e del chiaro di luna, anch’essa, in quanto serba la sua forma naturale, di senso ingenuo e non sforzato e lieve, mosso armoniosamente in una fantasia onesta, si rivela a noi con qualità di bellezza. E il suono delle parole in questo silenzio è alto e severo, è suono di poesia: c’era la luna chiara.... Non posso riportare tutto il mattino che si trova nella Lanterna, al capo V; distinto e variato con gioco di voci e di luci e sensazioni diverse. C’è il piacere di bere il caffè e di fumar la pipa al fresco d’estate, mentre le casette dormono ancora fra le betulle e i tamerischi; e c’è la vecchia bacucca, di cui si sente la voce chioccia brontolare nel dolce silenzio, con le galline e col pòrcello; poi, la processione dei venditori per le dune, la fanciulla coi piccioncini, paron Jusèf: tutto questo sorge e passa molto prestamente, insieme col sole che monta nel cielo e con l’ombra che scema a grado a grado e si fa men grata alla casetta, attraverso un soliloquio fra contemplativo e ironico. Ma quella semplicità nel lasciar cadere certe parole fresche, piene di senso e di colore, senza curarne in apparenza l’accordo con l’intonazione del discorso moraleggiante e bonario, si sente bene che non è senza qualche studio.
Tutta studiata, lavorata con punta secca e sottile, è questa notte d’inverno nella casa delle vecchie: «Mezza notte; compagnie di ubbriachi, che prediligono cantare sotto la caserma questo ritornello: ‘A fare il soldato è un brutto mestier, mangiar la pagnotta, dormire in quartier....’ Diluculo: le bifore si illuminano, la campanella ha un suono puro; ricorda gli azzurri marini, la