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alfredo panzini | 143 |
perchè spicchi più intenso il valore proprio di ciascuno. Egli riesce a tratti molto più espressivo e nervoso e pittoresco; ma di rado trova quell’armonia di collocazione poetica, che comunicava così dolce incauto alle parole di un tempo.
Prendiamo, per esempio, tre risvegli. Uno tutto piacevole e soave nelle piccole storie; «Però verso il dilucolo, la leggerezza del sonno fu attraversata prima da un suono come di sonagliere e di ruote, un suono allegro quale di diana alpestre; poi da un vagito di bimbo che pareva un richiamo alla vita, infine quando la luce segnò la croce della finestra, dal canto di un gallo con un sentimento di aer sereno: suoni non sgradevoli che lo cullarono come in un sogno e fecero scendere quell’onorevole giù in un secondo sonno, dal quale lo svegliò una voce, questa volta distinta, la quale disse:». Qui la grazia è in quel tono così famigliarmente discorsivo e bonario attraverso il quale le sensazioni vaghe della mattina tremano come perle di rugiada; e parlando poi così adagio la risonanza delle parole è limpida.
Ma altrove, pur nello stesso libro, il sentimento è più vivo; ridotto nell’espressione ai termini essenziali, sì che la gioia della sensazione poetica cresce nell’animo insieme col piacere di quel linguaggio fermo e nudo. «Mi assopiva a pena quando battè sul selciato la zampa ferrata dei muli: un rumore come di ghiaccio, che, io non so come, diceva che nel cielo c’era la luna chiara. Era un’ora dopo la mezzanotte e le guide ci venivano a destare per salire sul Catria». Notate ancora come sia puro l’animo dello scrittore, che avendo detto questa bella cosa senza enfasi, non si ferma a sottolinearla, ma segue suo dire agevolmente. E anche quello che potrebbe parere un difetto, la