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140 | scritti di renato serra |
ma ecco anche questo. «Per dieci miglia non un’anima sotto il sole: solo il profumo ebro delle ginestre».
Così nascono nelle sue pagine forme e figure umane; non crudelmente penetrate e incise, ma segnate appena con mano leggera; una sola pennellata di trasparente acquarello basta a rendere l’impressione del vivo, quando cada bene sul disegno magro. «Un feltro alla studentesca, due sbuffi di capelli castani in su le tempie, un ovale di giovanetta ventenne, pallido e fresco che dava l’idea della giunchiglia di aprile». E in una cucina di convento deserto: «L’urtare delle posate contro i piatti produceva strani echi; e parevano destare ombre bianche di monaci vagolanti. Pareva anche che dai finestroni cadesse un lividore di notte: e il tuono, ripercosso dal Catria, ogni tanto rombava».
Questa è la classicità e la bontà del Panzini; a dichiararne il valore mancherebbe ora solo la nota dell’uso quasi ingenuo ch’egli ne suol fare. Questi fiori, ch’io colgo, solo nelle sue pagine hanno tutta la fragranza, poichè ivi si vedono nascere, non per maniera studiata, ma per felicità naturale e con la stessa semplicità con cui crescono intorno le erbe selvatiche; e anche v’ha terra brulla.
Non dico ch’egli ne sia inconsapevole; e dalle prime scritture fino alle ultime si può osservare un progresso e uno svolgimento distinto della sua maniera. Aveva cominciato a muoversi un po’ duramente dentro l’abito carducciano, in principio: e allora era curioso alcuna volta il contrasto fra la forma presa di fuori, abbondante e composita, e la forma sua nativa, armoniosa e snella. Così si maturò a poco a poco la consuetudine che va