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coscienza letteraria di renato serra xix

egli stesso dirà tra poco, accostandosi, al modo suo, di grado in grado, sempre più al vero, che è un insinuarsi anche questo. Dice dunque del Sainte-Beuve, ch’egli ha «l’intelligenza infinitamente aperta e sottile, la curiosità che trova tutte le vie, la malizia che s’insinua per tutte le crepe»; e sono qualità che mi pare di riscontrarle tutte nel Serra. Ma non una di quest’altre, invece, ch’egli riconosce al Carducci, io riconoscerei al Serra: «il potere e l’autorità, la franchezza della linea e la bravura del colore e la vigoria delle grandi composizioni serrate». E così, ancora, ciò che egli trovava nel Sainte-Beuve, «l’interesse spirituale» che «si adempie nei termini di un uomo frugato nella carne viva o di un’arte o di una maniera, realizzata nella sua qualità», mi par di ritrovarlo in lui, Serra, in una certa misura e potenza. Ma che cosa può esserci di riferibile al suo ingegno in questi tratti con cui compie e determina la figura del Carducci? «Egli ha bisogno non meno di giudicare che di penetrare e rappresentare; e nel giudizio osserva alcuna legge, che non nasce solo dal temperamento e dall’occasione, ma già era posta come regola ferma, vorrei dire che egli sottopone volentieri la parte del gusto, che ha finissimo, e della intuizione e penetrazione psicologica, alla parte della classificazione, dell’opera nel genere e dell’uomo nel mezzo storico». Serra, nel suo giudizio, non osservò alcuna legge, e non sottopose la parte del gusto, che ebbe anche lui finissimo, e della intuizione e penetrazione psicologica, alla parte della classificazione dell’opera nel genere e dell’uomo nel mezzo storico. Gusto, intuizione, penetrazione psicologica agirono come potenze divinatrici, e si quietarono di sè. In quella indipendenza, io direi che sta la perenne no-