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130 | scritti di renato serra |
orazione. E allora anche quella gran mole, lì presso delle tombe dei re di Savoia mi si trasmutò in una bella e nobile fantasia; e confondendosi con i guerreschi monumenti che sono in Torino, io vidi una ferrea spada sopra a quell’Alpe per difesa di quel dolce piano....».
Qui pare carducciano tutto; il paesaggio storicamente animato, e quella immagine che si direbbe uscita dalle Odi Barbare a dominarlo, e l’abbandono in principio fantasticamente lento del dire che si alza infine e si informa della robustezza oratoria latina. Citare ancora sarebbe lungo e ozioso. Il maestro è presente nelle pagine giovanili su l’evoluzione di G. C. dove il piglio animoso, e la impostatura larga del quadro fra storico e filosofico, e la solennità delle immagini, rappresentano la efficacia dei discorsi e saggi di lui, così come è presente nella prosa narrativa e fantastica, più liberamente atteggiata della varietà delle Confessioni e Battaglie.
Del resto, degli influssi del Carducci sulla prosa contemporanea molti parlano; ma a renderne conto distintamente nelle pagine diverse non so chi si sia mai provato. Io dirò in breve che il Panzini mi par da collocare in quella famiglia di discepoli numerata e gentile, che ricevendo dal maestro l’ideale dell’arte e il modello della prosa, lo lavorò poi secondo la natura e l’ingegno con molta varietà. Nomino Severino, che per me è il tipo più schietto; a differenza degli altri cialtroni, che rapivano tumultuariamente al Carducci poche formule e clausole stilistiche più appariscenti, e un cotale abito di astrazioni immaginose e colorate (il quale non sempre nemmeno in lui era puro), Severino scriveva quelle pagine dei suoi studi di letteratura