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128 scritti di renato serra


Ma il costume e le intenzioni del suo spirito si trovano espresse più saporitamente in questo quadretto della vecchia bacucca, quella che i bagnanti di Bellaria sentono rovistare per l’aia nel dormiveglia del mattino. «Oh con chi fa diatriba questo grinzoso demonio in gonnella?... Essa parla discretamente con le galline e con il maiale. Invita le galline al pasto dell’intrisa crusca, e le pingui e prepotenti garrisce perchè facciano posto ai grami galluzzi; poi, mentre tutti bezzicano, alterna all’una o all’altra l’amorosa persuasione e l’efficace rimprovero».

Qui si sente troppo bene la intenzione studiosa e ritirata dall’uso volgare, non meno nella scelta dei vocaboli che nella forma del discorso; e poi quella pulizia fra il classico e il toscano, quella cotal gravità degli aggettivi premessi al nome e collocati in simmetria, quella veste solenne di cose semplici, rendono assai di lontano l’odore delle letture e dei buoni studi. Il quale è diffuso in tutte le pagine, e lo esprimono i latinismi della elocuzione, più o meno schietti («nella mia puerizia fui qualche tempo sotto la sua disciplina», ecco un esempio dell’usanza comune; ma chi ne desideri con più rilievo, ecco le bagnanti; «esse ambulavano per la spiaggia d’oro»), e tutte quelle inversioni e artifici e figure classiche della frase, che sarebbe ozioso illustrare. Classica è la consuetudine di sciogliere quasi le cose comuni nei loro elementi generici, sì da rappresentarne la forma con una certa solennità; come per il mangiar le anguille, e berci su: «I cornacchiesi serbano alle loro amatissime anguille una tomba di questo forte e sapido vino nei loro stomachi»; oppure, senza levarsi da queste rustiche mense, «ben tempera quella freschezza della insalata il