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120 scritti di renato serra


Non mi fermo sopra queste abitudini, alle quali qualche lettore frettoloso ha voluto dare troppa importanza. La bontà del Panzini non è già in esse; e neanche nella intelligenza, acuta sì, ma senza forza vera di penetrare le anime altrui e comprenderne in sè e ripeterne il gioco nudo. E di tante figure apparenti sui vetri della lanterna, così nette nella forma esteriore, nessuna forse dentro è viva; ricordo il prete purista, narratore gelido della tragedia famigliare dei Pascoli, accennato un poco più profondamente; ma anche in esso la verità del ritratto è sopra tutto generica, fatta di movimenti comuni e di qualità morali molto astratte.

Questo è un difetto che si risolve in virtù; poichè la magrezza del testo concede libertà varia e grande alla chiosa, che sorge in ogni momento a sviluppare dai casi e dalle forme fuggitive la lezione durabile.

L’episodio notato dal novellatore diventa problema e meditazione per il moralista. Il suo pensiero balza per raffronti subitanei e inaspettati alle cime donde la vita appare come piccolo gioco di ombre nere sullo scenario vano; una vasta e solenne tristezza alita intorno. E se bene alcuna volta1 la solennità è solo nella voce, intonata a una semplicità di sapiente, un poco posticcia, come la barba e il mantello di certi filosofi d’oc-

  1. Per un esempio solo, ecco la conclusione del gentilissimo idillio, che leggeremo fra poco, della giovinetta sbocciata. «La pagina aperta della vita è bella: ma pù bella è la pagina sigillata. Eppure l’uomo, per quanto sia audace, non osa infrangere questi suggelli, e anche questa è cosa ammirevole. A buon diritto Iside sta perennemente velata». Non vi pare di sentire il buon signor della Palisse?