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118 | scritti di renato serra |
È inutile ch’io vi descrivi quel suo fare ben conosciuto. Sdii sempre, come nelle novelle, bozzetti; figurine dal profilo evidente; ma non sanno staccarsi da quel lembo del taccuino dove la matita del viandante le segnò rapida, ed egli proseguì pensieroso.
Ricorderò, per un saggio solo, la vignetta, che io prendo in un altro luogo e che pur mi rappresenta così gentilmente anche quelle della Lanterna: «Ma da una di quelle finestrelle, fra i garofani, ecco sporse una testolina di giovanetta, nera e curiosa come capo di rondinella dal suo nido sospeso». Ed ora sentite il sospiro: «Non so come, un nome mi si presentò: Nerina! e le palpebre degli occhi miei, che in verità sono assai stanchi ma non piangono più, cominciarono a battere per il fantasma di un nome di amore!».
Continuate ancora un po’ il soliloquio, lasciate al pensiero agio di riflettersi un istante dentro se, e vedrete la dolce figura e il moto d’amore essere sbattuti dallo specchio della ironia.
Poichè tale è l’umorismo vero del Panzini: ed è più nel fondo che nella forma, più nella disposizione dell’animo che nella voce; par che nasca dalla materia stessa, che è poi la persona dello scrittore con la sua facoltà di rappresentarsi quasi sdoppiata nel contrasto delle intenzioni grandi e degli effetti molto piccini. C’è un luogo in cui qualcuno ostenta, nella bottega di un tabaccaio, il coltello aperto e fosche parole....
«Il mio sentimento di vero profeta gli aveva preso subito il polso come una tanaglia e fatta cadere l’arma maledetta; ma la mia mano non si era mossa nè meno.
«Anche senza ricordare i geniali studi del Lombroso, capii subito che a dirgli una parola