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116 scritti di renato serra


Alfredo Panzini non ignora queste gioie dell’andare: bevono l’aria i suoi polmoni e si sciolgono i muscoli nel fervore della corsa leggera. Quel che era nel suo cuore giovine e fresco si risveglia, e ritrova andando, con sorpresa, le gioie, antiche e pure; del mattino della luce dell’ombra dell’ozio.

E per la grande strada Emilia, per la strada del mare e della libertà, assai vario e gustoso è il dialogo del professore che si spoglia e dell’uomo nudo che si rivela; o cielo, o sole, o siepi polverose nell’ardente luglio!

Ma come tutto ciò è timido e fuggitivo dentro di lui!

Pareva che il mondo dei compiti, degli stipendi, del quotidiano carcere fragoroso, fosse caduto dalla memoria; già lo invitava il nuovo mondo sereno, dove le cose esistono per la gioia dei suoi vergini occhi.

Già la gola trema e si gonfia dell’inno sonoro, inno di liberazione e di trionfo, che il poeta esalterà franco da tutte le servitù del vivere. L’inno si ferma sulle labbra, si spegne in un sorriso e in un sospiro.

Il poeta si è ricordato dei suoi quarant’anni e della sua condizione; la gobba schiena e il marchio del tavolino e della cattedra si sono mescolati nel suo spirito limpido a quelle velleità di ebbrezza fisica e allo splendore del canto. Canto sognato, e non cantato mai.

E non è solo Pane che si provi di cantare le sue canzoni nel silenzio meridiano; ma dalle mura delle città e su per la corrente degli storici fiumi le grandi immagini e le memorie del passato si muovono ad incontrarlo mormorando; ma sugli spalti ventosi della montagna e lungo la riva