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alfredo panzini | 115 |
plicemente sè stesso, allora ha scritto quello che fino ad oggi è da chiamare il suo capolavoro: il Viaggio sentimentale.
La prima prova fu un viaggio in bicicletta, che egli narrò col titolo Nella terra dei santi e dei poeti e mescolò a una raccolta di novelle. Quello fu come il primo getto; la prova definitiva gli venne fatta dieci anni dopo, nella maturità dell’ingegno e della coscienza, e fu la Lanterna di Diogene.
Tutti i motivi e i movimenti famigliali al P., osservati fin qui sparsamente, ci tornano innanzi nella loro purezza.
È, dicevo, il viaggio sentimentale del professore che fugge la scuola, dell’uomo che corre verso la poesia.
Siamo a Milano, di luglio, quando le scuole si son chiuse; un’improvvisa nostalgia di campi e di sole e di aria assale l’uomo delle coniugazioni. I suoi quarant’anmi e il decoro professionale non gli impediscono di saltare sulla vecchia, bicicletta e di scappare come uno scolaro in vacanza.
Un critico di mestiere qui citerebbe i Reisebilder; e certo somiglianze se ne intravedono, e forse anche il P. ha dovuto alla lettura del Heine quell’incontro di una forma fin dal principio sciolta e libera. Ma poi.... Arrigo Heine non ha solo le gambe di vent’anni e la gaiezza dello studente sul viso; egli è il poeta e il suo cuore è eternamente giovine, è il monello di genio che s’abbandona a tutte le venture delle bianche strade, a tutti i richiami degli alberi e dei fiori e delle fanciulle per il mondo, cantando, come canta un uccello al vento: tutto è bellezza e amore sul suo cammino, tutto è felice alla sua insolenza, anche le lagrime e gli scherni e i corrucci.