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108 | scritti di renato serra |
bero e conchiusero tutto l’ideale del loro spirito; candidissimo esemplare ne restava il buon Severino.
Dico che il Panzini tiene molto di castoro; se non quanto il suo temperamento nativo e gagliardo ha consentito solo agli influssi più geniali. Nè intera ha ricevuta la impronta carducciana nello stile; e nè meno, lasciando stare i versi, che pare non ne abbia scritti mai, ha accettato l’abito, dominante nel maestro, dell’erudizione e della ricerca storica.
Ma l’ideale della vita e dell’arte e della generosa umanità da lui l’ha ricevuto; e brilla ancora fermo nel cielo della sua mente. Con tutte le sue contraddizioni e i mancamenti e i partiti presi.
Per il Carducci, lasciatemi accennar come posso, l’ideale veramente vivo è la poesia; sentita e amata non soltanto come pienezza lirica del cuore, ma come abito e gentilezza della mente, conversazione e comunione con i grandi, opera di civiltà e di nobiltà umana. La sua poesia è anche pratica, è storia, è patria, è aristocrazia; è sopra tutto umanità. Se non che i concetti che dal grossolano positivismo del suo tempo egli ha troppo spesso raccattato sull’indirizzo pratico della civiltà moderna, sull’utilitarismo e la democrazia, fanno nella sua mente grido e contrasto; gli rappresentano l’ideale suo per falso, retorico, scolastico; nè egli riesce a sciogliersi nettamente dall’intrico, se non in apparenza, come quando riporta la poesia al passato, accettando che sia morta nel presente e nell’avvenire; oppure il suo temperamento poetico si rivolta, e sopra le incertezze del pensiero si afferma la prepotenza eterna e libera delle canzoni.
Ma il Panzini non è mai uscito intellettual-