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alfredo panzini | 107 |
che essere un senso più sottile e più ricco, un tormento segreto e molteplice; se non la ribellione superba del poeta, che distrugge nel suo spirito le coniugazioni e i registri e affonda in quel cielo che solum è suo, almeno il sospiro melodioso e arguto di Severino («mentre con gobbe spalle va sfregiando — nella scuola, gli error d’ortografia»).... e può essere anche, la voce del Panzini.
Nel quale la contraddizione è inconciliabile fra la natura e il destino; ed è dissidio dell’umanista col pedagogo; della natività e sensualità del carattere con la servitù quotidiana; del poeta con la vita.
Il dissidio si sfoga nell’opera. Aggiungiamo che non vi si discioglie così come il dolore nel pianto o nel canto; ma dentro vi resta, e freme, e mormora, come acqua rotta da remolo inconsumabile.
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Quest’opera si sa qual’è. Si iniziò con un tentativo giovanile di critica, sulla evoluzione politica di Giosue Carducci.
Quivi i limiti e le qualità del suo ingegno già sono evidenti. Del resto non è un semplice saggio critico, una esercitazione dottrinaria: nella persona del Carducci il Panzini si trova di fronte a tutte le angoscie e a tutti i desideri che seguitarono ad agitare la sua arte, e anche la vita. Egli era scolaro del Carducci. Questo è stato per lui suggello quasi di una seconda natura.
Egli poi è molto vicino a quella generazione, poca e scelta, dei veri scolari del maestro, pieni della sua voce e del suo nume, che in lui conob-