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104 | scritti di renato serra |
son troppo piccoli e cari e senza scoperto; c’è troppo fumo, polvere, fracasso. O scapparsene in riva al mare, in campagna, a respirare l’aria pura e a godere un poco di pace!
Questo è in lui persistente e rifiorente desiderio di tutte le ore; il quale per altro si vuole intendere con discrezione, come d’onest’uomo, senza pretese poetiche o arcadiche; romagnolo anche in questo. Egli desidera infinitamente il mare e la campagna; gli alberi e l’erba fresca, le casine pulite col pergolato intorno e il frutteto, e il gridio delle galline sull’aia nei chiari mattini. Ma il suo amore è sano e umano, non è idillio, non è ebrezza dell’anima delle cose. Egli ama nei campi non meno la bellezza, la fragranza che la bontà e la utilità; col sentimento di un antico egli trova che la vita dell’uomo ivi è compiuta della naturale operazione di ogni sua facoltà.
Quanto dolce sarebbe lavorare la terra e godersene i frutti per l’uomo condannato alla oscura noia dei libri e della città!
L’ideale suo è più di vita che di poesia. Egli guarda nei campi non solo il verde ma anche il contadino; lo guarda con occhio umanamente sereno, al quale i calli delle mani e l’indurimento delle giunture affaticate non sono meno visibili che il viso fosco e la cravatta rossa, e le bocche inasprite dall’urlo dell’inno.
Questo professore dalla cera bonaria è rimasto sempre, e sopra ogni cosa, un uomo, in mezzo agli uomini; i loro disordini e le lotte, i contrasti e le iniquità della loro condizione, non sono per lui uno spettacolo vano.
Se alcuna volta vi parrà che la sua intelligenza lo disponga allo scetticismo, sotto l’apparenza