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xvi coscienza letteraria di renato serra

la parola»), e quanto una novella firmata da lui. Oh non è tutto qui! Ma la tecnica del suo raccontare, l’impasto della sua lingua, e che scrittore è Kipling, perfino che cosa sa fare dei suoi lettori, e per che via li prende e li disarma. Nomina una volta, o fa nominare, il Taine, Ippolito Taine, come un innamorato; chè gli piacerebbe scrivere un bel capitolo, compagno a quelli che sono nella Storia della Letteratura inglese, possedere le sue qualità. Ed ecco mette già in opera quelle sue qualità, parla anche lui, o vi accenna, di ambiente e di razza, senza però farsene schiavo, senza troppo gravarne la pagina. Aspettatelo alla resa dei conti, e vedrete come tutto alla fine avrà servito a comporre il ritratto, questo arioso ritratto di Rudyard Kipling, lumeggiandolo e investendolo da ogni parte; e come anche avrà servito a parlare dello scrittore e della sua «magia», a rapirne il segreto, con quella sua arte già così accorta, procedente per esclusioni fortissime e per tanti no, per arrivare al che più vale. Grammatico, dunque, stilista, uomo di lettere, e deliziosa penna. Forse è la penna che concede, qualche volta; concede, dico, per amor dell’argomento, a bei pretesti. Ma la mano del lettore e giudice è ben ferma; ed egli dice quel che ha da dire con un accento che sconsiglia ogni replica. Serra aveva ventiquattr’anni. E perdoniamo, a questo saggio d’un giovanissimo, quel poco d’intemperanza (felix culpa). La misura, il bello studio delle parti, la proporzione del taglio, la nettezza di tono, verranno poi. Ma già è cominciato l’anno ch’egli scriverà i suoi primi saggi perfetti: quello su Pascoli e l’altro su Beltramelli; e nelle pieghe d’una recensione mezzo erudita lascerà detto qualcosa che può essere buona spia a intendere il carattere