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102 | scritti di renato serra |
famiglia era di Rimini; e nella campagna di Rimini, vicino al mare, dev’essere ancora la vecchia casa di quella brava gente, il cui nome fu onorato nelle cronache della liberazione d’Italia. Quanto alla vita di lui, basta saperne quello che si trova ricordato bonariamente nei suoi libri: che le sue condizioni erano modeste, di una un poco rustica pulizia; passò la adolescenza in collegio, poi fu a Bologna e uscì maestro di belle lettere dalla scuola del Carducci. Ora sta a Milano, dove insegna in una scuola secondaria, da molti anni; che già ha passato i quaranta. Ha famiglia, e figliuoli grandicelli, coi quali tutti gli anni se ne viene l’estate alla spiaggia più romagnola, a Bellaria.; e molti di Cesena e di Forlì, che non conoscono la Lanterna di Diogene, si ricordano bene di lui e dei suoi bambini biondi: «Panzini.... già, quel professore che viene a Bellaria, dicono: ah, tanto un brav’uomo....».
Tale a vederlo, tale a praticarlo nei libri: un gran brav’uomo; professore, sì; ma molto meglio romagnolo che professore. Non ha nè mutria nè supercilio ispido; il meno possibile di cartacce in tasca e di pedanteria nel parlare.
La scuola non ha saputo cambiarlo e neanche la gran città; è rimasto semplice, bonario, con la sua natura schietta e coi suoi gusti casalinghi. È uno dei nostri; un po’ goffo, se volete; ma col cuore sano e l’anima generosa.
Tutta quella così detta scienza, di cui la sua mente si è adornata, non lo fa nè superbo nè contento: egli in mezzo allo strepito di Milano sospira il suo paese e la sua casa lontana.
Sospira la sua vecchia mamma, e la cameretta tranquilla, piena di memorie: ma sospira anche il buon mangiare di casa, la tovaglia pulita, scin-