Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/142


per un catalogo 95

tus....» descriveranno meglio i cieli del pensiero e gli episodi della storia; nessuno può essermi maestro migliore di letteratura e di umanità, per le quali io vivo.

Ma queste sono parole grandi: la mia gente è timida e non le ama.

Il Carducci del nostro cuore è quello che diceva le parole che nessuno, fra quanti serbano nel loro cassetto un segreto di quaderni pieni di cancellature, innumerabili e varie come gli entusiasmi dell’adolescenza, sa ricordare senza tenerezza. «Dopo il dono di fare la divina poesia, il dono largito dagli dèi ai loro prediletti, è di ammirarla fino alle lacrime. Questo secondo dono, io l’ho».

Anche noi l’abbiamo: è la nostra forza e la nostra debolezza, com’era la sua. Esso ci impedisce di essere dei ratés; ci ha permesso di chiudere il cassetto senza goffaggine, e di andare tranquillamente per il mondo.

Quanto a lui, quelle lacrime lo hanno messo disarmato nelle mani dei suoi nemici. Essi trovano che alla sua intelligenza mancava la purità degli interessi universali, non solo di fronte alla filosofia, ma di fronte a quello che era pascolo e occupazione sua propria, di fronte ai problemi letterari. E hanno ragione.

Il Carducci non era nè uno storico nè un critico propriamente, come è stato dimostrato e si potrebbe confermare con molte prove particolari bellissime. Davanti a una poesia non sorgeva mai in lui il problema disinteressato del comprendere