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88 | scritti di renato serra |
diventava insensibilmente compiacenza dell'accorddo e infine gioia dell’intelletto. Sì che mi pare di essere verso di lui in una disposizione che non è nè quella degli scolari veri e propri e di coloro che paiono venuti al mondo per lui e giurano nel suo nome, e neanche quella di coloro che non hanno saputo seguirlo nel corso del suo pensiero o in nulla o solo fino a un certo punto, e se la prendono con lui oggi perchè ha camminato più oltre: la disposizione del mio animo è simile a quella dei più, e non è turbata in nulla dalle vicende di un commercio personale, che può essersi svolto quasi in parte separata.
Lasciamo andare ora tutto questo. Poniamo di avere i due uomini davanti a noi: e interroghiamo la nostra coscienza, che cosa aspetterebbe da ognuno di loro, e di che vorrebbe parlare. Una differenza mi colpisce.
Con uno si può parlare di tutto; con l’altro no. Il campo e l’apertura delle due intelligenze è diversa. Il Carducci ha delle angustie che Croce non conosce. Io sento che a costui, se dovessi prenderlo per maestro, mi potrei confessare in tutto il mio bene e nel male con una sincerità assoluta; poichè la sua intelligenza non rifiuta nulla del mondo. Prima di ogni moto di adesione o di simpatia, mi pare che debba sorgere in lui il desiderio di comprendere.
Di quel che gli dico io, egli non si piglierebbe ira, ma piuttosto curiosità, e quella non malevola. Io mi potrei scoprire a lui in tutta la mia profonda diversità morale, nel mio fastidio delle idee astratte e delle correnti spirituali, nella mia antipatia verso tutta la gente seria elevata e convinta per professione, nelle debolezze del mio pensiero e nelle malinconie della mia sensualità, in