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per un catalogo 85

tanto m’ero succhiato Marx, che mi legava un po’ i denti, e quanto più Labriola, Turati, Laforgue, Engels, Spencer e Lombroso avevo potuto. Quello era il punto capitale; Carducci lo aggiungevo per euritmia, perchè mi pareva che un poro di letteratura stesse bene per contorno.

L’estate dopo rileggevo quel libretto, insieme con le Odi barbare e con qualche cosa delle Confessioni e battaglie, edizione Sommaruga; e ne trascrivevo, ahimè, dei pezzi sopra un mio quadernino. La maledizione della retorica era sopra di me. Nella scelta, il criterio mi veniva dalla lettura delle riviste politico-sociali e dai libri del «pensiero moderno»; facevo collezione di invettive e di traslati, con un fremito di allegrezza nelle dita ogni qualvolta m’abbattessi a scrivere sillabe di qualche «protoplasma poetico». Trovavo che il Carducci fosse un bell’ingegno e un forte scrittore, ma debolissimo di pensiero e di critica, e uomo senza carattere; la sua «evoluzione poetica», la terminavo coi Giambi, e colle nuove Poesie di cui amavo sopra tutto le versioni da Heine. Le Odi barbare appartenevano già alla «involuzione». C'era fra le mie carte una Ode a Ferrara e Alla chiesa di Polenta regalatemi quando uscivano separate e che non avevo letto. Mi piaceva molto il Chiarone.

Questo fu il punto di partenza, gli episodi successivi importano meno. Come arrivassi un bel giorno a studiar lettere per il tramite della filosofia positivista e della critica storica, uso Giornale storico, e scientifica, uso Taine o anche, Dio mi perdoni, Nordau, come entrassi un poco a malincuore nella scuola del Carducci e che cosa mi sembrasse del suo modo di leggere il Parini, e come infine certi paragoni di succhio e linfa popo-