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per un catalogo 81

caso saranno curiosità tutte del seicento e settecento, dà lume a questi accidenti; guardate poi bene ai secoli dal XVII al XIX sopra tutto, alle omissioni e alle restrizioni, come del Buonarroti e del Bartoli, o del Giordani e del Capponi e di infiniti altri, e a tutte le giunte inaspettate e antipatiche che qui non è luogo di ricordare. La tendenza alla fine è troppo chiara.

Ahimè! io scorro ancora una volta questo programma, formato da tanti valentuomini di cui ognuno ha verso la nostra cultura meriti molti e insigni che io non saprei ricordare senza reverenza, e un lungo represso sospiro mi sale su dal profondo, con rimpianto infinito. O dov’è ora il Carducci?

Non avrei voluto profferir questo nome, troppo annoiato ormai dalla retorica volgare e degno di essere difeso solo col silenzio.

Ed è vero poi che se tra le righe di questo catalogo a ogni pausa della lettura pare che incontro sorga quell’altro glorioso catalogo e veramente italiano che il Carducci, con tutti i suoi partiti presi superbi e con le magnanime superstizioni, avrebbe saputo fare, tutto ciò d’altronde è più facile a desiderare che a dire: sì che sembra meglio tacere.

Ma io ho ancora qualche cosa sul cuore. Sento troppo bene che in codesto luogo oramai fatto comune, del paragone fra il Carducci e il Croce, c’è ancora qualche angolo buio, un nodo che vuol essere sciolto. Ognuno parla di cambiamento di indirizzi, di allargamento di campo, di progresso e sviluppi nuovi della cultura; nè son parole soltanto, ma come in una nuova aria si respirano influssi mutati. È bene che sia così, e al compiacimento altrui anche io consento.

6. — Scritti di Renato Serra. - I.