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78 | scritti di renato serra |
secondo cinquecento usurperanno in certe conversazioni il posto del poeta giapponese o dell’impressionista egiziano, pensate a tutti quelli che per un volume nuovo si sentiranno in buona fede dispensati da ogni rispetto verso tutti quelli che l’hanno letto prima di loro, pensate alla novella istoria che parrà cominciare da codeste ristampe, e ditemi se non ci dev’esser sotto qualche cosa di marcio. E saranno edizioni critiche, in cui forse l’indicazione di una stampa mal nota da collazionare o la nuova lettura di un e in un manoscritto sarà come la freccia avvelenata che cerca il collega nemico attraverso le boscaglie della scienza; e la gioia del professore trionfante si esalterà nel pensiero di contribuir, come dicono, a guastare una tradizione e a creare un nuovo valore; a toglier via la vecchia letteratura di frasi e di motti, per restituire la dimenticata virtù delle cose e dei fatti.
Le cose! tutto quello che c’è in me di meno ingrato si rivolta dispettosamente. Nulla è così vago goffo inconcludente retorico come le cose.
Lasciate questi idoli ai meccanici e ai procaccianti, ai quali le provincie ignorate, le lacune, l’inesplorato, l’ignoto, l’inedito e le preziose scoperte sono così necessari come l’aria per respirare e i titoli per concorrere.
Parliamo onestamente di questa cosa onesta, che è l’Italia e i suoi libri. E allora bisognerà persuadersi che i nostri vecchi erano gente come noi, quando non erano meglio, e avevano occhi per leggere e animo per intendere; e tutto quello che noi ci crediamo di scoprire, altri l’aveva scoperto molto tempo prima di noi; e quel che c’era da vedere, da gustare, da notare, altri pur l’aveva veduto e gustato e notato, se anche non l’aveva