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antonio beltramelli | 65 |
nia, delle maledizioni dei profeti biblici. Se non che qui la maledizione ha avuto il suo effetto, e travaglia libro e lettori col flagello delle descrizioni implacabilmente estetiche; innanzi al quale ogni interesse, della parte autobiografica e di confessione, vien meno.
Ma Gli uomini rossi sono una rappresentazione, che vorrebbe riuscir nuovamente satirica, dei repubblicani di Romagna. E come satira valgon poco; poichè l’autore ha troppo voglia di descrivere e troppo si lascia andare a spiegare le ragioni e magari a far la teoria scientifica del carattere romagnolo. La sua fantasia è troppo accesa od enfatica per esser gaia. La fata ironia consola più volentieri la povera gente, che della sua condizione mortale accetta tranquillamente ogni disgrazia, che non i vati e gli eroi, stirpe divina: e Beltramelli era forse, o voleva essere, troppo in alto per riceverne i doni. Così egli è condannato a prender tutte le cose sul serio; a far del bello stile, delle antitesi, delle tragedie, ma non a ridere mai, con la fantasia o con la parola.
Ma nei limiti d’una rappresentazione un poco caricata ed esagerata dal vero, Gli uomini rossi hanno qualche grazia non volgare. Cercando lo spirito e l’arguzia, l’autore ha trovato almeno la semplicità: si è contentato di accennare, di abbozzare. Certe figure come il cavalier Moscardo, Bortolo Sangiovese, il gruppo degli anarchici; certe scene come il banchetto e l’inaugurazione del monumento al naturalista; pur non superando di molto il pupazzetto convenzionale o la cronaca, acquistano, dallo stile, accademicamente ma sobriamente fiorito, un sapore non comune e non ingrato. La materia non è trasfigurata tanto