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64 | scritti di renato serra |
antitesi; l’enfasi delle descrizioni e delle tirate; e quell’accento ispirato e quella posa di vate e di filosofo; quella tumultuosa signoria infine del temperamento lirico su tutte le cose, non son questi i segni, o se volete, gli scenari e i ferri vecchi del romanticismo?
Romantico è il suo paganesimo: nella mistura bizzarra degli antichissimi miti della terra latina (non certo della Romagna) con reminiscenze letterarie modernissime; nel contrasto fra un sentimento della natura squisito nativo con la goffaggine preziosa e spettacolosa dei riti e delle orgie, che dovrebbero simboleggiarlo.
Romantico anche quel che meno sembra; per esempio lo sfarzo della lingua e l’artificio accademico dell’elocuzione, in cui si sfoga l’odio del volgo, la posa aristocratica e fastosa, il bisogno di singolarità che sono in fondo di ogni natura romantica. I vocaboli rari e i periodi numerosi sono qui un poco come il gilet rosso e la berretta di velluto dei primi cavalieri del romanticismo francese.
Ma romantica sopra tutto in lui è la tensione e l’accensione poetica, nella quale, così come nel cieco abbandono alla foga della torbida ispirazione, è da vedere la ragione ultima della sua maniera.
E la maniera è unica per tutto. Regna ugualmente nelle novelle, e nei libretti descrittivi, dove l’immagine della città o del paese traluce come incerto miraggio in mezzo agli inni e alle parabole; e nei romanzi.
Non parliamo del Cantico, dove i soliti procedimenti fanno dei pescatori di Comacchio una schiera di comparse da operetta, tragiche, selvagge e ridicole: di Roma una specie di Babilo-