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nità di danze, di musiche, di orgie. Il culto ha anche una parte magica, più segreta, per cui si vincono le malie imponendo i corpi affatturati ai roghi innalzati in mezzo alle dune, o facendo recitare alle turbe versetti e formule virtuose, o suonando musiche secondo gli antichissimi riti.

Questa gente porta dei nomi simbolici e pittoreschi. Le donne si chiamano Nuvola, Gelsomino, Alloro, Allodola, Rossa di Splendore; gli uomini Ardito. Vincitore, Olmo, Meravigliato, Velluto, Sicuro, Sole; i bimbi Cardellino, Azzurrino.... Si apostrofano col patronimico solenne: — Senti, Gabriele di Glafira, e tu, Zurdana di Era, e tu, Ombra di Telespar! — Singolari in ogni altra cosa, negli atti, nei nomi, nei visi, nei riti, non sono mono singolari nelle parole. Parlare è una delle delle occupazioni principali della loro vita: per quanto l’autore ce li soglia rappresentare in principio muti, in posa di severità assorta. Parlano dunque con un linguaggio immaginoso e fiorito, tutto di metafore, di sentenze, di enimmi. Si sentono, fra contadino e contadina, frasi come questa: «Svegliati.... nube del mare, viso di perla....»; oppure «addio, occhi di fumo; addio, suora di Cristo!». — L’odio, l’amore, gli spettacoli della natura, — su cui l’occhio di costoro è sempre fisso — sono celebrati con enfasi poetica; che prende più bizzarro rilievo dalle allusioni mitologiche, che introducono la sorella nera (la morte), la reggia dei tramonti (l’autunno), la casa del tuono e via via.

Questa è la Romagna nei libri di Beltramelli: questa la gente che egli ha conosciuto, le cose che ha visto, tra Forlì, Ravenna, Cervia e Bellaria; o lì presso. Non è il caso di arrabbiarsi o di ridere. In fondo non c’è niente di male. Si potrà