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60 | scritti di renato serra |
gente che vive in capanne perdute, che si nutre dei frutti della terra, o pur campa di caccia e di pesca; strani filosofi naturali, come Rabièl, «il semplice filosofo dalle inesauribili amarezze ironiche», «che scrutava il pensiero delle bestie» e «andava sempre a capo scoperto in omaggio a sua madre: la Terra; in onore al Grande Spirito; il Mistero»; come Maraviè, il saggio della landa, che «il giorno andava a visitare i malati e la notte guardava le stelle» come tanti altri, cenciosi, vagabondi dai piedi nudi e dalla misteriosa sapienza, stregoni e indovini di virtù non umana, figli della solitudine e del silenzio di cui rendono fra gli uomini le voci con apologhi e aforismi di oscura solennità.
La religione ha una parte suprema nella vita di queste tribù. È una specie di paganesimo mistico, di naturalismo orgiastico. Essi vivono in comunione profonda con la natura; ne adorano le potenze, ne celebrano i fasti con fervore assiduo e violento. Una strana mitologia si rispecchia nei loro discorsi; con oscure allusioni al Grande Spirito che vive nella Casa dei Tuoni (il cielo): ad animali misteriosi, come Nigar, il Corvo che conosce le origini dei mondi, e la serpe Amstrèss (mi striscio): a cento altri fatti ed esseri strani.
Ma sopra tutto adorano il sole, le stelle, la terra, li invocano con nomi religiosi, li cantano in canzoni svariate, dal ritmo oscuro, che hanno insieme dell’inno e della preghiera. Il sole è invocato «anima dei grani, signore dei sorrisi, signore delle stelle, grande vecchio dei cieli....»; la luna «corpo ferrigno, anima di bambace, sorella luna....». Altri inni, altri canti vanno alla primavera, all’amore, alla divinità del mare. Cerimonie speciali festeggiano le stagioni con solen-