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antonio beltramelli | 59 |
Su questo scenario fantastico si muovono personaggi non meno singolari: anzi stanno «come quercie graniticamente salde di fronte al mistero», «vegliano, come lupi all’agguato», gente strana alla vista, al costume, al parlare. Vivono in fondo ai boschi, o nell’aspra fatica dei campi, fieramente, senza padroni, senza legge. Non somigliano agli uomini che noi conosciamo in nulla; hanno riti e religione loro propria; i loro capi, i loro consigli di anziani, le loro ordinanze speciali. Accade per esempio che parentadi interi scendano l’un contro l’altro in campo, come a battaglia ordinata. Lotte, stragi sono libere. Corsari vagano per il mare su navi inafferrabili. Presso certe tribù, le giovinette all’aprile vengono ignude a una gara della bellezza, innanzi all’anziano. Altrove è gran festa, quando si radunano le mandre brade dalle pasture, per il marchio, e i giovinetti lottano con tori e le femmine si offrono a loro selvaggiamente. C’è una foresta in cui alla fine di carnevale centinaia di persone si raccolgono a un’orgia dionisiaca. Assemblee speciali degli anziani, o di tutto il popolo, in una piazza o in una selva, giudicano i delitti e ne fanno giustizia; mettono al bando della tribù le spie, fucilano i calunniatori, le streghe. Una legge impone ai maledetti, ai figli dell’incesto, di vagare eternamente sul mare, senza toccare la terra finchè una vergine non li salvi, donando a uno di loro liberamente il suo amore.
V’hanno fra loro esseri strani; creature tra il pazzo e il selvaggio, che vagano senza posa mai e senza comunione con l’uomo, per le selve e per le lande; altri che han perduto quasi l’uso della parola e delle facoltà umane, e vivono come fauni in fondo alla foresta. È una folla di solitari;