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56 | scritti di renato serra |
poeta è stato solo, o quasi, a notare quel che sentiva. Si parla della pastora di Cerbiatta. «Ella contava le stelle: tante notti serene, stesa su l’erba, all’agghiaccio, vicino alle bianche pecore che mettevano un languore ne l’oscurità, s’era divertita a contare le stelle e ne aveva contate a centinaia, poi s’era addormentata con qualcosa di bianco nel pensiero: con una inconscia leggerezza di spirito, fra le corolle che le si curvavano sul viso, ed aveva sognato di volare». Questa è la poesia nella sua purezza. Io ricordo, da una novella di Daudet, un’altra notte deliziosa, d’un pastore e d’una fanciulla, all’agghiaccio, col profumo delle pasture intorno e il fresco delle stelle sul viso. Ma non la invidio; e qui forse son qualità di poesia più lieve, più alta.
Consoliamoci ancora un poco. È un’altra notte; non tanto sentita dentro l’anima questa, ma offerta con semplicità alla gioia dei nostri occhi; una notte di primavera. «Devila si scioglieva i capelli, alla luce lunare, per evitare le malie del maggio. La vedevo eretta in un quadrato di puro argento e vedevo le sue chiome farsi opache e il profilo di lei accentuato da un albore diffuso; dietro e più lontano era la trama di una siepe e l’incrociarsi di qualche rama in fiore».
Il traduttore qui non si rivela se non a quell’accentuato; e forse all’uso costante di introdurre le immagini con una nota generale (ponendo non le rame che si incrociano, ma l’incrociarsi delle rame). Se non si rivelasse mai altrimenti! Ricordo una descrizione della pineta, d’inverno, a lume di luna. «Un bianco mantello di bioccoli e diamanti, di lane, di cristalli, di gemme aveva disteso su