Quando del pigro e tardo amanuense 300L’arte cedette alla novella forma,
Che per le punte del metallo infuso
Con ordine disposte e dal cilindro
Negro percorse in piccolo telaio,
Della pagina opposta indi la faccia 305Fra gl’iterati e stretti abbracciamenti
Tutta lasciando del lor bacio impressa,
Velocissimamente in mille parti
Del pensiero l’imagine propaga?
Forse (o m’inganno) un flebile lamento 310Attorno si levò quale si ascolta
Oggi dal labbro tuo. Misere genti,
Che al lume della pallida lucerna
Fin qui vegliaste nelle lunghe notti,
A verbo a verbo trascrivendo i segni 315Nei polverosi codici vergati,
Ecco sbucata dal profondo abisso
Una larva terribile che fura
A voi l’usato e certo pane, i vostri
Mal impugnati calami spezzando. 320Ma delle genti misere, che fanno
Come l’onda che fugge e più non torna,
È bella la pietà che ti scolora
E bagna il volto di soavi stille.
Se ad esse per salir porgi la mano 325Degna lode ne avrai; ma quando incontro
Al carro trionfal, che non si arresta
E stritola per via le opposte turbe,
Della crescente civiltà la stendi,
Tronca o pesta rimane, e nullo arrechi 330Scudo e conforto alle commosse schiere.
Ai pochi, che piegaro il dorso in arco
Ricopiando le pagine vetuste