Profonde a passo vacillante e lento
Di loco in loco la gravosa soma
Sulle spalle recava, invidia forse 30Alle belve portando ancor non dome.
Ma non sì tosto la caligin densa
Dalla torpida mente si dirada,
Che sforza a sopportar l’ignoto pondo
Le scapestrate belve, a cui pon modo, 35Legge e governo della sferza al fischio,
All’allentare o stringere del morso,
Al pungere dell’asta, al mite cenno
Od al rigido colpo della verga.
Fra le balze scoscese e gl’irti dumi, 40Un novello sentiero apre ed appiana,
In cui l’orma più libera si stampa
O si strascina men tardo e pesante
Il carco imposto alle conteste travi;
Che a più rapido corso e più leggiero 45Colle fervide rote indi sospinge
Finchè l’ali al volar quasi lor presti
Col premuto vapor che cento e cento
Poderosi cavalli indietro lascia
Dalla stanchezza affranti e dalla fame. 50Vedi quel campo, che di bionda mèsse
Ora sorride e di benigne piante
Tutto s’allegra? Fu d’ispide spine,
Di stagnanti acque e d’orride boscaglie
Ingombro tutto, e per malvagi effluvi 55E velenose serpi infame e tristo.
Colla potenza delle cinque dita
Mai non avreste, o deboli mortali,
Diboscato il terren, rotte le glebe,
E le fetide e morte onde converse 60In limpido corrente e chiaro rivo.