Del mal non badi e gli altrui danni aggravi, Gli occhi tenendo della mente chiusi Ai veraci rimedi, onde ciascuno, Come détta l’ingegno, alla sua meta 235Liberamente gareggiando corre.
Qual recondita legge a noi dischiude Al meglio il varco, e seguitando il vario Ordine di bisogni e di fatiche, Il guiderdone al sagrifizio adegua? 240Chi fra i remoti popoli diversi Di costume, di numero e di loco Gli uffici innumerevoli comparte Sì che l’alterno desïar si appaghi Coll’alterno ricambio? O chi rannoda 245Delle miniere l’improba fatica All’arte che la gramola trattando Colma i canestri del ritondo pane, Onore e vanto delle parche mense? Dalla fucina affumicata uscía 250Dapprima il ferro; indi il cultore adusto Armò la destra dell’adunca falce, Alla fremente macina porgendo Alfin le biade sventolate e monde. Quali non valicar pelaghi immensi 255Od ardue vette di montagne eccelse La bionda lana e il candido cotone E la droga gentil che li colora; E quante non provar sorti e cimenti, Pria che il morbido drappo a noi disciolto 260Di sè facesse varïata mostra?
Tempo già fu che a pubblico decreto, Più che alunno alla scutica severa Dell’accigliato e grave pedagogo, Soggiacquer l’arti timide e bambine,