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34 sermone quarto.

Del mal non badi e gli altrui danni aggravi,
Gli occhi tenendo della mente chiusi
Ai veraci rimedi, onde ciascuno,
Come détta l’ingegno, alla sua meta
235Liberamente gareggiando corre.
Qual recondita legge a noi dischiude
Al meglio il varco, e seguitando il vario
Ordine di bisogni e di fatiche,
Il guiderdone al sagrifizio adegua?
240Chi fra i remoti popoli diversi
Di costume, di numero e di loco
Gli uffici innumerevoli comparte
Sì che l’alterno desïar si appaghi
Coll’alterno ricambio? O chi rannoda
245Delle miniere l’improba fatica
All’arte che la gramola trattando
Colma i canestri del ritondo pane,
Onore e vanto delle parche mense?
Dalla fucina affumicata uscía
250Dapprima il ferro; indi il cultore adusto
Armò la destra dell’adunca falce,
Alla fremente macina porgendo
Alfin le biade sventolate e monde.
Quali non valicar pelaghi immensi
255Od ardue vette di montagne eccelse
La bionda lana e il candido cotone
E la droga gentil che li colora;
E quante non provar sorti e cimenti,
Pria che il morbido drappo a noi disciolto
260Di sè facesse varïata mostra?
Tempo già fu che a pubblico decreto,
Più che alunno alla scutica severa
Dell’accigliato e grave pedagogo,
Soggiacquer l’arti timide e bambine,