Sì che il mesto color della vïola, O il volto rancio della tarda aurora, 165O il verde imiti della fresca erbetta.
L’arte, che spreme il lubrico licore Dai pingui semi e dal fecondo ulivo, Od i cerati favi e l’importuna Delle belve pinguedine costringe 170Le timide a fugar ombre notturne, Apprende come delle uccise belve La pelle tratta dall’immondo speco Resista ai colpi del sonante piede, O in delicati ninnoli si muti 175Il duro corno, e le minugie vili In corde sottilissime vibrando, Al dolce tocco di maestre dita, Spargano intorno armonici concenti, Onde la innamorata anima vola, 180O volar crede, a più beata sfera. Opra dell’arte sono il bianco foglio Che i segni porta del pensiero impressi, E il nitido sapon ch’ogni sozzura Terge, od il vetro fragile che nove 185Meraviglie discopre e novi mondi. Tanto può l’arte umilemente altera, Luridi cenci a trasformare intenta, E rancide reliquie e poca arena!
Di amene valli e collinette apriche 190Vanto non meni e delle chiare fonti L’abitator dell’italo giardino, Finchè al tiepido Sole in grembo ai fiori Il fianco adagia, e sonnacchiando aspetta Che dal soffio gentil scosso di un’aura 195Gli cada il frutto maturato al piede. Il sereno del cielo e il bel sorriso