E di più ricchi doni a far più lieta 130E più gentile e desïata mostra. A che del monte la chiomata selva Fra le nubi agitavasi non tocca Ancor dai colpi dell’ignota scure, Se il cavo tronco il lido non radea, 135Nè le conteste travi erano schermo Ai minacciati lari, e indarno uscía Da ripercossa selce una favilla? A che di pietre, di metalli e marmi Il riposto tesor quando la via 140Si chiuda ad esso, nè ad aprirla inviti Di scalpelli, d’incudini e di magli Un fragoroso suon che l’aure assordi?
Corre e ricorre fra le ordite fila L’agile spola; e propagate intorno 145Crescon le piante dal tenace tiglio, O dalle molli e lievi e bianche piume; Cresce la foglia dell’amato gelso Al baco avventuroso; e un novo armento Di più morbidi velli il dorso ammanta. 150Indi la tela e il drappo si dipinge Dei colori che l’Iride dispiega Pel cielo in arco, e di leggiadre tinte Recan tributo un fiore, un seme, un’erba, Ruvide scorze e dispregiate barbe, 155la fronda dell’indaco disciolta, O l’avara conchiglia, o il mal celato Insetto che nell’onda ribollendo Della sanguigna porpora rinnova L’invidïato onor. Nè il terzo regno 160Della natura il suo tributo nega All’industre pennel che tempra e mesce Le rubiconde, azzurre e gialle tinte