Poi che si fu dell’arbore pasciuto Che d’infelici amori un dì fu segno, Nella serica stanza s’imprigiona, 85Onde il varco schiudendo all’aura torna Rivestito dell’ali di farfalla.
L’agricoltor colla famiglia a lato Alla mèsse, alla vite, al pingue armento, All’ape industre, al baco redivivo 90Intento veglia, ed al mutar del tempo Sempre in nove fatiche si trasmuta. Ora all’aratro aggioga il lento bue E il suo campo dirompe, or gli ridona Cogli addensati succhi il vital nerbo, 95Onde rampolli dagli sparsi semi Con orgoglio maggior la sua speranza. Ora alle sonnacchiose acque la via Apre, rincalza i vacillanti fusti. Qui le male erbe toglie, e là de’ tralci 100La lascivia corregge, e al vicin olmo Con felice presagio li marita. Qui schermo oppone d’innocenti insidie Agi’ importuni augelli. Oh! così fosse Atto le voglie a sgomentar del ladro, 105Che baldo per gli altrui cólti si aggira E pesta e guasta al fulgido meriggio; Il favor delle tenebre lasciando Al masnadier che getta a terra ignudo Il vïandante, o scassina le porte 110Con raddoppiate sbarre indarno chiuse.
Dalla prim’alba al morïente giorno Ferve l’opra de’ campi. Or della falce L’occhio ti abbaglia il luccicar benigno: Or della scure i noverati colpi 115Eco riporta. L’avida maciulla,