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20 sermone terzo.

Fra l’umili officine e le superbe
Gl’industri studi ad acconciare adatti
50Le rozze cose trasformando agli usi
Della vita mutabili. L’obbietto,
Che dagli altri per forma o per sostanza
Per infiniti gradi si diparte,
A sè chiama l’ingegno, a sè la mano
55D’una schiera che solo ad esso intende
Con unico pensiero, e in poco d’ora
Della perfezïon tocca la cima.
Questi le chiome a carminar del lino
Curvato vedi sul pungente cardo.
60Quegli in filo il ritorce, altri ne intesse
La finissima tela, altri la imbianca
Od al candor la lucidezza aggiunge;
Finchè l’ago e la forbice lasciando,
All’onor salga delle altere mense,
65O sulle piume morbide si stenda,
Od al pudico sen d’una gentile
Sposa donzella porga il casto velo,
Cui profan occhio indarno invidia porti.
Di loco in loco misurando il passo
70Il tuo candido drappo alfin raccogli
Quasi tributo da più mani offerto.
Ora il fianco riposa ove la mèsse
Ondeggia, e co’ suoi pampani la vite
Uve promette rubiconde e liete.
75Odi il muggito del racchiuso armento,
Che anela scapestrar pel verde prato;
Odi il ronzio della solerte pecchia,
Che l’essenze odorifere libando
Vola a deporre entro ai cerati favi
80Il dolce miele. Tacito ed oscuro
Intanto il verme di farfalla nato,