Fra l’umili officine e le superbe Gl’industri studi ad acconciare adatti 50Le rozze cose trasformando agli usi Della vita mutabili. L’obbietto, Che dagli altri per forma o per sostanza Per infiniti gradi si diparte, A sè chiama l’ingegno, a sè la mano 55D’una schiera che solo ad esso intende Con unico pensiero, e in poco d’ora Della perfezïon tocca la cima.
Questi le chiome a carminar del lino Curvato vedi sul pungente cardo. 60Quegli in filo il ritorce, altri ne intesse La finissima tela, altri la imbianca Od al candor la lucidezza aggiunge; Finchè l’ago e la forbice lasciando, All’onor salga delle altere mense, 65O sulle piume morbide si stenda, Od al pudico sen d’una gentile Sposa donzella porga il casto velo, Cui profan occhio indarno invidia porti. Di loco in loco misurando il passo 70Il tuo candido drappo alfin raccogli Quasi tributo da più mani offerto. Ora il fianco riposa ove la mèsse Ondeggia, e co’ suoi pampani la vite Uve promette rubiconde e liete. 75Odi il muggito del racchiuso armento, Che anela scapestrar pel verde prato; Odi il ronzio della solerte pecchia, Che l’essenze odorifere libando Vola a deporre entro ai cerati favi 80Il dolce miele. Tacito ed oscuro Intanto il verme di farfalla nato,