O ch’io m’inganno, od ésca al foco accresce, 130Onde una impura fiamma arde ed avvampa,
Chi con esempi sciagurati e vili,
E improvvido consiglio, avaro e falso
All’istinto brutal del popol gramo
Aggiunge lena, sì che alfin prorompe 135Senza ritegno a’ danni nostri; e noi,
Noi che fratelli.... A repentino scoppio
Di mal frenate risa a bocca aperta
Rimase, e tacque. — Nei palagi alteri
Ora si educa la leggiadra prole 140A leggiadro costume. Il Franco, e l’Anglo,
E l’Alemanno coi nativi accenti
Favelleranno all’itala donzella,
Che nel patrio sermon balbetta appena.
E il nobile garzone, o si scapestra 145Innanzi tempo con ignota foga,
O come cherichin pallido e smilzo
Stecchito va, torcendo alquanto il collo.
Dopo le cure vane e gli ozi gravi
Assistere ne giovi alle notturne 150Scene, e lo spettator con novo incanto
In novello spettacolo si muti.
Ma chi ridir vorrà, s’anco il potesse,
La commedia dei garruli palchetti,
Ove si ride allor che il popol piange? 155Tardi si giunga, e il varïato intreccio
Delle figure mobili rinnovi
Il prestigio di magica lanterna.
La mano s’armi dell’acuto vetro;
E l’occhio lento e grave intorno giri, 160Quasi degli astri contemplando il corso,
Alle partite zone, e non s’affisi
Nel pianeta maggior quando nol chiami